“Temp d’ vnnegn”
di Gerardo Acierno
“Quand è bella la cambagn
quann è temp d’ vnnegn …”
Questi sono i primi due versi della canzone dialettale
pignolese “Temp d’ vnnegn’ scritta e musicata in anni ormai
lontani dal prof. Alberto Paciello, docente di matematica nei licei romani
oltre che autore di altre appassionate composizioni che hanno segnato e
disegnato, cantando, la vita del suo e del nostro paese.
Temp d’ vnnegn … tempo
evocatore di riti antichi, quando il paese si chiamava ‘Vineola’ a
testimonianza della massiccia presenza della vite sui nostri colli e nelle
nostre minute radure. Vigne dappertutto, a la Sciffra, a u’
Chiatamo’, a la Creda, a li Cost, a lu Tuorn..
Nel mezzo dell’autunno,
affacciati sulle soglie delle cantine, gli uomini abbufavn bott e
barrott. Nelle case le donne preparavano canestr e stare. I
ragazzi bussavano alle porte di familiari e vicini per
invitare tutti a vdgnà. Poi veniva u mulattier a
chiedere conferma per il trasporto dell’uva dalla vigna al paese. Il
giorno seguente di buon’ora il vigneto si popolava di donne cu maccatur
ndest e lu crett, di uomini in maniche di camicia, di
bambini festanti e un viavai di muli cu li ciarl stracolme di
grappoli.
“.. so li sorbl šcappad
ca s’asciuvn a lu sol
so li per e li cutugn
quand è bella la cambagn
quann è temp d’ vnnegn ..”
Continuava così quella
canzone e noi, studenti di tanto tempo fa, ascoltavamo il Professore mentre la
sussurrava sulle panchine della piazza nelle notti di stagioni tramontate. Poi
ci raccontava della vigna che a mezzogiorno accoglieva la padrona che
arrivava cu la canestra in bilico sul capo e chiamava tutti a
raccolta sotto l’albero più frondoso dove mttia tavla cu li patate
passad, baccalà fritt e pupavr cruŝchl.
In mezzo ai filari delle viti
nascevano amicizie e amori. Si combinavano fidanzamenti e matrimoni, qualche
volta se ne rompeva qualcuno. La jaschetta d’u vin girava come
la pallina della roulette e le facce diventavano sempre più rosse, sudate
nell’aria carica di allegria e di felicità. Si cantavano li cilndan,
versetti satirici così chiamati perché originari del non lontanissimo Cilento e
si prendeva in giro ora l’uno ora l’altro vendemmiatore. E bisognava, però, far
presto a vendemmiare perché a casa si doveva ritornare mbra lume e
scur, prima del buio.
Approdati nella cantina si riempiva
la tina e s’ psava l’uva. Dopo qualche giorno si assaggiava il
mosto e anche l’acquata vergine. L’odore penetrante del vino nuovo in quei
giorni invadeva li cundane e li cnanz di tutto il paese. E ad
una certa ora da quelle stanze laboriose si levavano cori un po’ sballati
mentre fuori pugni di nebbia si preparavano all’invasione per ricordare a tutti
che l’inverno, ormai, era lì .. dietro l’angolo.
DI GERARDO ACIERNO IL 14/10/2020RUBRICHE
FONTE TALENTI LUCANI-PASSAGGIO A SUD
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