LA BATTAGLIA DEI BRACCIANTI PER IL LAVORO E PER LA TERRA
Le due premesse fondamentali
da cui ha preso le mosse il congresso della Federbraccianti per la sua analisi
della situazione e degli obiettivi nelle campagne sono, da un lato, la
constatazione della subordinazione sempre più grave dell'agricoltura al dominio
del monopolio capitalistico e del monopolio terriero con una sempre più stretta
compenetrazione di interessi, dominio che è stato aggravato dalla politica di
restaurazione economica del capitalismo imposta dalle classi dominanti sotto la
direzione politica dei governi della democrazia cristiana dal 1947 ad oggi;
dall'altro lato, la constatazione dell'imponente risveglio delle masse
contadine che vede accanto al tradizionale schieramento dei braccianti e
salariati agricoli, anch'esso oggi più forte, e a quello più recente ma assai
solido dei mezzadri, masse sempre più numerose di piccoli fittavoli, di piccoli
proprietari coltivatori diretti e di assegnatari, organizzati per la prima
volta nella storia del nostro paese, in forme autonome e in opposizione alle organizzazioni
del grande padronato agrario e alla politica delle classi dominanti.
Questa seconda constatazione può apparire in contraddizionecon la prima; in realtà è proprio in conseguenza delle contraddizioni, delle forme arretrate di sfruttamento che convivono accanto alle nuove e mantengono l'agricoltura in condizioni di arretratezza e di sostanziale condizioni di vita dei contadini, determinati dal dominio del monopolio capitalistico e terriero e dalla politica governativa che si accresce il malcontento fra le masse dei contadini e si sviluppa la loro coscienza democratica.
Questo processo è tanto più rapido in quanto non è abbandonato alla spontaneità, ma è potentemente stimolato dalla presenza attiva nelle campagne di grandi organizzazioni sindacali come la Confederterra, che con la Federbraccianti e la Federmezzadri organizza un milione e mezzo di lavoratori dipendenti direttamente collegati nella Cgil con i lavoratori delle città, e le Associazioni autonome dei contadini oggi raccolte nell'Alleanza Nazionale dei Contadini che costituisce una conquista storica dei contadini italiani a cui è legato il nome di Ruggero Grieco. Accanto operano i partiti fratelli della classe operaia che hanno avuto ed hanno il grande merito di aver conquistato saldamente alle idee del rinnovamento democratico della società e alle idee di Gramsci milioni di lavoratori della terra.
L'elemento fondamentale
dell'analisi politica della situazione delle campagne è dato da questa
constatazione: la conquista della stragrande maggioranza dei braccianti, dei
salariati, dei compartecipanti e dei mezzadri e dei contadini poveri in
generale e di vasti gruppi di coltivatori diretti alla causa della democrazia,
alle idee e all'azione per un rinnovamento profondo delle campagne e del paese
secondo i dettami della Costituzione repubblicana e il rafforzamento degli
strumenti organizzativi che nelle campagne operano per questi obiettivi.
E' probabile che negli
ultimi due o tre anni vi sia stata una sottovalutazione del reale significato
di questa nostra forza nelle campagne. Che questa sottovalutazione esisteva ed
esiste, spesso inconsapevolmente, si vede chiaramente quando si vanno ad
esaminare alcuni aspetti essenziali della linea e, in minor misura, della
tattica seguite. La debolezza principale è stata in questi ultimi anni quella
di avere attenuato la lotta generale per la terra, per la riforma fondiaria
generale dopo il primo risultato d'importanza storica conseguito con le lotte contro
il latifondo tipico anche se le leggi governative e la loro attuazione concreta
hanno dato un corso contraddittorio e reazionario alle prime concrete misure di
riforma fondiaria.
L'obiettivo della riforma
agraria generale, a causa di questi errori, è rimasto a volte offuscato e
staccato dalle lotte parziali pur numerose ed aspre condotte in questo periodo,
e il movimento non ha avuto il vigore e l'ampiezza che sono non solo necessari
ma possibili nella situazione attuale.
Elementi di sottovalutazione della forza unitaria dei lavoratori della terra si sono manifestati anche nella lotta per la giusta-causa permanente e per la riforma dei contratti agrari e particolarmente fra i braccianti, i salariati e i compartecipanti interessati a questi obiettivi quanto gli altri contadini. Modesti sono i risultati che si sono avuti in questi anni nella lotta per la giusta-causa per i salariati fissi e i compartecipanti, per la stabilità dei braccianti e per la trasformazione dei contratti di salariato,di bracciantato e di compartecipazione nelle aziende capitalistiche in contratti di tipo associativo o, nei casi più avanzati, in conduzioni collettive di tipo cooperati%'o. Vi sono stati risultati parziali importanti nella difesa de; salariati disdettati, dell'equa ripartizione delle terre e della stabilità dei compartecipanti, nelle conduzioni associate o nei collettivi agricoli, ma è mancata negli animi e nelle cose la preparazione adeguata di quel movimento generale che è necessario per determinare profonde trasformazioni contrattuali e fondiarie.
Infine, nelle stesse lotte
per gli obiettivi tradizionali, di «resistenza», del sindacato sono apparse
debolezze che rivelano non solo incertezze sulle rivendicazioni da porre, ma
dubbi sulle capacità reali di lotta dei lavoratori e sulle forme dell'azione
sindacale da condurre. Così è stato per quanto riguarda il collocamento della
mano d'opera che è una questione fondamentale e di principio per tutti i lavoratori
italiani e per i braccianti in particolare.
Così è stato per gli
imponibili di mano d'opera che avevano registrato nei due anni passati una
diminuzione e che costituiscono oggi la base essenziale e decisiva di una
politica di occupazione delle campagne. Contro queste due conquiste degli
imponibili e del collocamento si è particolarmente orientato l'attacco degli
agrari e del Governo, con l'aiuto dei dirigenti scissionisti e bonomiani.
Questo attacco reazionario non è stato senza conseguenze e la nostra risposta
non è stata adeguata; anche se, soprattutto in questi ultimi mesi prima della
neve, molti errori erano stati corretti e la lotta per questi obiettivi aveva
ormai preso sviluppi vigorosi in tutto il paese, gli errori del passato hanno
pesato.
In collegamento con questi
errori emergono debolezze nella tattica, nelle forme della lotta sindacale.
Molte nostre lotte in questi anni sono state aspre, di durata più o meno lunga
e impostate e condotte con il criterio di non escludere nessuna delle forme di
lotte tipiche del sindacato per costringere gli avversar! di classe a
rinunciare ai loro propositi reazionari. Ma altre lotte sono state condotte sul
piano di una generica agitazione o di azioni dimostrative, di per se utili come
momenti preparatori della lotta, ma certo insufficienti a tenere testa a degli
avversari che non escludono nessuna arma pur di farci indietreggiare e di
sconfiggerci.
Questi errori sono stati possibili soprattutto perché si è sottovalutata la spinta reale che viene dalle grandi masse dei lavoratori della campagna.
Motivi della reazione di massa alle conseguenze dell'ondata di gelo
II periodo congressuale, dai
congressi di lega al congresso nazionale della Federbraccianti, e stato di
fondamentale
importanza per individuare
gli errori e per correggerli non solo sul piano dell'orientamento generale, ma
anche nella pratica.
Dall'autunno scorso ad oggi
vi è stata una crescente ripresa delle lotte agrarie per la previdenza, per i
salari, per i contratti, ma soprattutto per gli imponibili di mano d'opera e il
collocamento.
Insieme ha avuto nuovi
sviluppi la lotta per la giusta causa permanente mentre le lotte per la terra
si sono fatte via via più fitte e più coordinate nel Mezzogiorno e nelle Isole
con alcune ramificazioni ancora sporadiche, nella Valle Padana. L'ondata di
gelo e di neve che si è abbattuta in queste settimane su tutto il paese ha
trovato le grandi masse di contadini mobilitate nella lotta per le loro
rivendicazioni.
Anche fra di noi non è
mancato chi si è meravigliato della prontezza con cui le popolazioni, con i
lavoratori alla testa, hanno reagito alle conseguenze più immediate e
drammatiche della neve e del gelo. E la meraviglia non è fuor di luogo perché
non bastano a determinare una così pronta mobilitazione popolare la fame e il
freddo di molte migliaia di famiglie e i gravi disagi materiali della
stragrande maggioranza della popolazione.
Fame e disagi esistono e
sono gravissimi; ma accanto a questi elementi obiettivi hanno agito gli
elementi soggettivi, il fatto cioè che già la maggioranza dei lavoratori erano
mobilitati nella lotta contro l'inverno, contro la disoccupazione e la miseria.
Più in generale si deve affermare che la spinta reale che viene dalle masse dei
lavoratori della terra ha avuto un nuovo impulso in conseguenza delle
tribolazioni drammaticamente aggravate dal maltempo e quanto sta avvenendo in
questi giorni sul terreno dell'azione delle masse — sia pure con le
caratteristiche e la drammaticità determinate dai fatti catastrofici della
stagione — è sulla linea di sviluppo di un movimento le cui radici sono assai
più profonde e di cui il periodo congressuale segna una vigorosa ripresa.
Il Congresso ha rispecchiato fedelmente questa realtà. L'atmosfera di eccezionale entusiasmo che ha dominato nei lavori del congresso nazionale esprimeva appunto la fiducia nella unità e nella forza dei lavoratori e il calore e la passione che accompagnano la ripresa delle lotte agrarie. Il dibattito elevato e spregiudicato che ha avuto luogo a Cremona lo ha confermato.
Ciò che ha discusso il Congresso della Federbraccianti
Date queste premesse, il punto centrale del dibattito era naturale che fosse come è stato, quello della liquidazione degli errori di linea e di tattica che si sono manifestati nella pratica in questi anni concentrando lo sforzo di ricerca sui problemi dello sviluppo delle lotte per il lavoro e la terra unificando dialetticamente il movimento di «resistenza» con quello per la riforma agraria generale.
Le questioni che hanno avuto
maggiore rilievo sono stati gli imponibili di mnno d'opera, il collocamento, la
riforma dei contratti agrari e la riforma fondiaria generale. Animatissima la
discussione sulla riforma fondiaria generale (e anche su alcuni aspetti della
riforma contrattuale): nell'assemblea e nei corridoi. Discussione che non è
stata conclusa, ma aperta ad un livello più alto ed oggi si rinnova in mille e
mille paesi.
Era naturale che così fosse, dato che per alcuni anni l'obiettivo della riforma fondiaria generale era stato spesso collocato fra i temi di una generica propaganda e bisognava riproporlo invece come un obiettivo reale e concreto della lotta e del movimento popolare, come un obiettivo di oggi e non dell'avvenire più o meno lontano. I capisaldi di questo obiettivo sono stati ribaditi: limite generale e permanente (massimo 100 Ha) della proprietà fondiaria e redistribuzione in forme individuali o associate della terra eccedente il limite ai contadini senza terra e con poca terra; distruzione del latifondo e limitazione della proprietà capitalistica, quindi, nelle forme che sono obiettivamente necessarie e possibili in relazione allo sviluppo della coscienza dei lavoratori e allo sviluppo dei tipi di conduzione della terra e dei mezzi tecnici di produzione: (del possesso individuale, alle forme semplici di cooperazione fra i lavoratori, dalle forme di conduzione associate al capitale d'impresa privato, alle cooperative di conduzione collettiva delle terre.
Aperta è invece la
discussione sulle forme di sviluppo della lotta e sulle vie concrete da seguire
nei diversi territori e nelle diverse condizioni di ambiente economico e
sociale. II Congresso della Cgil sarà una occasione importante per trarre un
primo bilancio della nuova fase del dibattito aperto al nostro Congresso.
Contemporaneamente è stata
ribadita la necessità di sviluppare le lotte per i salari, i contratti e la
previdenza e soprattutto per gli imponibili di mano d'opera e per il ripristino
del controllo sindacale sugli uffici di collocamento, per un collocamento equo
e democratico (per i braccianti, egualitario). La via della riforma
contrattuale e fondiaria passa attraverso le lotte e i successi che i
lavoratori della terra sapranno strappare sul terreno dell'azione unitaria
rivendicativa.
Sotto questa luce si rivela
la necessità di spingere avanti con particolare impegno le lotte per il
collocamento e per gli imponibili di mano d'opera, come lotte permanenti e di
fondo della categoria. Oggi le condizioni preliminari per la difesa dei diritti
e delle conquiste dei lavoratori e per lo sviluppo di qualsiasi lotta per il
lavoro e la terra è data dalla liquidazione delle conseguenze nefaste del
collocamento discriminato instaurato dai padroni e dal collocamento di stato.
Per i lavoratori non vi è altra scelta: o ristabilire la loro unità e garantire la difesa dei loro diritti e delle loro conquiste imponendo l'equa distribuzione del lavoro, o entrare in concorrenza e in conflitto fra di loro alla mercédei padroni e dei collocatori governativi senza possibilità di difendere la loro dignità e i loro elementari diritti.
Collocamento egualitario imponibili e investimenti fondiari
"La lotta per il
collocamento egualitario e democratico è una lotta di principio permanente del
sindacato e dei lavoratori classisti. La discontinuità e i compromessi di
questi anni non hanno giovato ai lavoratori, ma ai padroni. La ripresa della
lotta in questo campo deve essere generale e permanente e non deve rifuggire da
tutte le forme di lotta tipiche del sindacato di classe comprese quelle più
impegnative ed avanzate. Analoga importanza hanno nella situazione attuale gli
imponibili di mano d'opera: essi costituiscono nella situazione attuale la sola
garanzia di un minimo di lavoro per tutti i lavoratori e nello stesso tempo
esercitano uno stimolo potente allo sviluppo dell'agricoltura. L'aggravamento
della disoccupazione agricola e il fallimento totale della politica di
intervento statale per le opere di miglioria e idi trasformazione nelle terre dei
privati confermano l'enorme e decisiva importanza degli imponibili di miglioria
e di trasformazione fondiaria. La via della meccanizzazione imboccata dagli
agrari e dai monopoli con aperto carattere di classe mira ad espellere dalle
campagne
centinaia di migliaia di braccianti e di contadini poveri e nello stesso tempo impedisce che contemporaneamente al processo di meccanizzazione abbia luogo quel processo di trasformazioni fondiarie ed agrarie necessarie per garantire lo sviluppo della produttività e, insieme, lo sviluppo della stabilità sulla terra e del benessere dei lavoratori.
La lotta per gli imponibili costituisce invece il punto di partenza per la difesa della stabilità dei lavoratori della terra, per lo sviluppo organico degli investimenti delle trasformazioni fondiarie e della produttività. Partendo dagli imponibili (dal loro miglioramento e dalla loro estensione in tutto il paese) è possibile arrivare a quelle trasformazioni di carattere strutturale sul piano contrattuale e fondiario che oggi si pongono come obiettivo urgente e improrogabile per le nostre campagne. Una conferma degli obiettivi posti dal Congresso di Cremona viene dall'analisi della situazione economica e sociale delle campagne.
La crisi generale della nostra agricoltura si è aggravata ulteriormente. Non siamo di fronte ad una crisi ciclica, produttivi elementi di una crisi di congiuntura che potrebbe svilupparsi verso una crisi congiunturale generale particolarmente in conseguenza della crescente pressione esercitata dai surplus americani sul mercato capitalistico italiano e mondiale. E una minaccia di aggravamento in questo senso viene senza dubbio dai recenti orientamenti della politica agraria americana annunciati da Eisenhower.
La crisi dell'agricoltura italiana è un aspetto della crisi generale del capitalismo. L'aggravamento della crisi dell'agricoltura ha oggi come sua causa tipica e dominante 10 sviluppo crescente del dominio del capitale monopolistico sempre più intimamente compenetrato col monopolio della grande proprietà terriera e con quello politico dei gruppi clericali dominanti.
Si osservi il rapido sviluppo in questi anni del dominio monopolistico e della trasformazione monopolistica dell'agricoltura che avevano già avuto una particolare accentuazione nel periodo fascista. Siamo di fronte ad un processo di restaurazione capitalistica con il crescente predominio dei monopoli. Questo processo non è avvenuto al di fuori dello Stato e della politica dei governi di questo periodo. Al contrario. A parte gii aspetti più apertamente reazionari, scelbiani, della politica di questi governi di cui abbiamo conosciuto e conosciamo le manifestazioni, bisogna mettere in luce gli aspetti della politica economica che essi hanno seguita e che ha aiutato ed aiuta l'avanzata dei monopoli nelle campagne. Sono caduti gli investimenti privati, ma vi è un certo aumento degli investimenti pubblici nell'agricoltura secondo una direttiva che è quella di rinnovare il vecchio rapporto fra agrari e Stato che si era instaurato durante 11 periodo fascista e già prima ancora con la cosidetta politica della bonifica integrale che consiste nel regalare danaro pubblico agli agrari sotto forma di opere che elevano il valore delle terre e, di conseguenza, la rendita fondiaria.
Questo è in sostanza uno
degli aspetti più salienti dell'attività della Cassa del Mezzogiorno anche se
prende nomi diversi e allettanti. La stessa politica viene perseguita per la
via tradizionale dei consorzi di bonifica che rimangono organismi corporativi
dominati dai grandi agrari, e persine per la nuova via degli Enti di Riforma.
D'altra parte, una massa cospicua degli investimenti privati avviene con il
ricorso al credito (cioè alle banche) su vasta scala e con l'aiuto statale come
è avvenuto, ad esempio, per la meccanizzazione che è stata fatta in grande
parte col credito e con le provvidenze fanfaniane del «piano dodecennale». Si
sviluppano così nuove forme di dipendenza dell'agricoltura del capitale
monopolistico e dal capitale di Stato. Gli stessi Enti di Riforma sono diventati,
di fatto, strumenti di un particolare tipo di capitalismo di Stato, nel quale
gli interessi dei latifondisti e dei gruppi monopolistici si compenetrano con
quelli del monopolio clericale. Gli assegnatari restano economicamente e
socialmente soggetti a un inestricabile intreccio nel quale il peso delle
annualità. dovute ai latifondisti si complica con quello ancora più gravoso di
interessi e ammortamenti per le anticipazioni, di balzelli sulle prestazioni
dell'Ente e dei gruppi monopolistici senza contare le «mazzette» estorte da
funzionari poco scrupolosi.
D'altra parte, si sviluppa la rete delle bardature corporative nelle forme vecchie ereditate dal fascismo e in quelle nuove adottate dai clericali, nelle quali gli interessi dei grandi agrari e dei monopoli si fondono con quelli dei gruppi clericali. L'esempio più mostruoso — ma non il solo purtroppo — rimane la Federconsorzi : esempio tipico e scandaloso del nuovo tipo di rapporti fra monopoli, proprietà terriera e monopolio clericale.
Attaccare il capitalismo monopolistico e il regime della proprietà terriera
Per queste vie il capitalismo monopolistico ha realizzato nuove forme di rapina dell'agricoltura e di spremitura di una massa ingente della ricchezza prodotta dalle campagne. Nuove vie, quindi, per sfruttare non solo i lavoratori dipendenti (salariati, braccianti, compartecipanti, mezzadri e coloni), ma anche milioni di coltivatori diretti. Questi fatti bisogna mettere in luce per dare un giudizio economico non solo, ma anche per dare un giudizio politico sui Governi e sul monopolio clericale che hanno dominato in questi anni il nostro paese spingendolo sulla via della restaurazione economica del capitalismo e dello aggravamento della crisi generale dell'agricoltura. Questa politica e l'accentuata restaurazione capitalistica non solo non hanno risolto i mali ereditari e strutturali delle nostre campagne, ma li hanno aggravati fino alla esasperazione.
Sono rimaste le vecchie
strutture fondiarie ed agrarie arretrate. Il peso della rendita rimane altissimo
e si aggrava. Contribuisce, fra l'altro, a determinare questo aggravamento la
politica di spesa pubblica dello Stato e quella particolare forma di aiuti
statali per la formazione della piccola proprietà che determina un aumento del
prezzo delle terre con ripercussioni negative su tutti i contadini.
Vi sono state alcune modificazioni parziali in limitati territori di latifondo tradizionale, in particolare nella distribuzione della proprietà a seguito delle lotte contadine da noi guidate. Ma il quadro generale non muta sostanzialmente. Così come non è mutato il quadro dei contratti agrari nelle campagne. Ne poteva mutare, del resto, stante l'attuale distribuzione della proprietà della terra e l'enorme massa di disoccupati e di sottoccupati nell'agricoltura. Un mutamento poteva e può venire sia nel campo della distribuzione della proprietà della terra che in quello dei contratti agrari solo con misure di riforma, con interventi legislativi, contro la grande proprietà.E' questa la sola via che potrà far cambiare lo stato attuale di cose. La via, cioè, che è stata apertamente tradita dalle forze politiche che compongono l'attuale governo.
A Perugia e a Bari
l'onorevole Fanfani, segretario della D.C., ha reso noto che il suo partito e
il governo hanno ormai abbandonato la via delle riforme; tradita la
giusta-causa permanente, tradita la riforma fondiaria generale. Le strutture
fondiarie arretrate hanno pesato storicamente e pesano ancora oggi a seguito
dello sviluppodel dominio dei monopoli e della compenetrazione d'interessi fra
monopoli e grandi proprietari terrieri sulla nostra agricoltura, determinando
il bassissimo livello della produttività del lavoro agricolo, la stagnazione
della produzione, una grave disoccupazione che si accompagna a un'altrettanto
grave sovrapopolazione artificiale nelle campagne con la conseguenza di un
bassissimo tenore di vita delle masse popolari non solo agricole, e il
persistente accentuato squilibrio economico e sociale fra nord e sud.
Vi sono stati in questi anni in certi territori e in certi tipi di azienda (particolarmente nelle grandi aziende capitalistiche) alcuni investimenti privati soprattutto per lo acquisto di macchine. Il numero dei trattori è notevolmente aumentato. Ma il progresso agronomico è lento e contradditorio, stazionario nel suo insieme. Aumenta, proprio in conseguenza di questi investimenti del peso dei monopoli e della rendita, lo squilibrio fra grandi aziende e piccole imprese contadine e soprattutto si aggrava ulteriormente lo squilibrio fra Nord e Sud. Con tutti i danari spesi e sperperati dalla Cassa del Mezzogiorno e degli Enti di Riforma lo svantaggio economico e sociale del Mezzogiorno si aggrava, in altri termini si aggrava la questione meridionale. E si sviluppa quel processo di degradazione della montagna già in corso da anni con il crollo delle aziende marginali della montagna e la fuga di quei contadini verso il piano e verso le città. Dal punto di vista sociale il fatto più grave è assieme alle nuove forme di spremitura dei contadini piccoli produttori,l'espulsione di masse di contadini, di braccianti e salariati in particolare dal processo produttivo.
Diminuisce in particolare il
numero dei braccianti e dei salariati,
diminuiscono le loro giornate di occupazione, cresce la loro miseria.
Questi fenomeni sono alla base della acutizzazione e della esasperazione dei contrasti sociali e politici nelle campagne. I padroni hanno sviluppato il loro attacco di classe nelle campagne con il sostegno diretto ed indiretto dei governi che abbiamo avuto in questi anni.
Governi "centristi" e padroni di fronte alla crisi agricola
I padroni hanno cercato di camuffare la crisi generale dell'agricoltura che è una crisi di struttura, come una crisi congiunturale per giustificare la loro politica reazionaria. La loro manovra si è palesata chiaramente in questi anni. Partendo dalla falsa tesi della crisi di congiuntura gli agrari hanno cercato di dimostrare che le loro aziende si trovavano in difficoltà a causa degli alti costi dovuti al peso degli oneri sociali, degli imponibili, dei salari e dei contributi previdenziali per sferrare un attacco a fondo contro il livello di vita dei salariati e braccianti per la riduzione e il blocco dei salari, per la liquidazione, di fatto, di gran parte delle bassissime prestazioni previdenziali della categoria.
Contemporaneamente il governo, col pieno appoggio degli agrari e dei capi scissionisti, ha portato avanti l'attacco al collocamento egualitario instaurando un regime di collocamento che è il più corrotto che un paese moderno conosca. Spezzando il collocamento egualitario, sottraendolo al controllo sindacale e sviluppando, una politica di collocamento basata sulle discriminazioni, sulla persecuzione dei lavoratori classisti e sulla corruzione, il governo ha dato un notevole contributo alla politica di aggravamento della disoccupazione, di supersfruttamento e di liquidazione dei diritti e delle libertà dei lavoratori che i padroni vogliono imporre nelle fabbriche e nei campi. Non meno sensibile è stato il Governo alla pretesa degli sgravi per quanto riguarda gli imponibili e la previdenza sociale.
L'obiettivo degli agrari è ambizioso: mira ad espellere dalle aziende, dal processo produttivo delle campagne centinaia di migliaia di braccianti ed a creare per essi condizioni di disperazione per costringerli a fuggire dalle campagne alla ventura verso la città anch'essa sovraccarica di disoccupati o verso l'emigrazione. I padroni non hanno scrupoli. Ogni mezzo è buono per realizzare i loro obiettivi. In questi tre anni passati il loro attacco si è fatto più duro. L'oppressione padronale più aspra. Gli agrari della cascina hanno cercato di instaurare un regime terroristico e dispotico violando i patti, umiliando i lavoratori, perseguitandoli con il licenziamento e con lo sfratto. La discriminazione del collocamento è servita nelle zone bracciantili allo stesso scopo; per distruggere il collocamento egualitario nelle zone più avanzate si è persino arrivati a spezzettare grandi aziende modernamente attrezzate per cederle attraverso la Cassa della piccola proprietà a piccole cooperative costituite con piccoli gruppi socialmente eterogenei dominati dai capi scissionisti.
Nell'operazione,
naturalmente, gli agrari hanno guadagnato con il rialzo del prezzo della terra,
gli speculatori e i corrotti hanno fatto la loro parte di bottino e i
lavoratori concessionari di terra si sono indebitati. Ma l'operazione politica
esigeva il suo prezzo. Ed è stata portata a termine dove hanno potuto, senza
scrupoli. Analoghi fenomeni si sono verificati cambiando conduzione e cedendo
le terre a coltivazione con rapporti contrattuali diversi in altre zone dove
esistono aziende capitalistiche come in Lombardia, in Piemonte, nel Veneto,
nella Puglia. Lo scopo era ed è anche qui quello di sottrarre il lavoro e la
terra alla distribuzione egualitaria dei salariati, dei braccianti e dei
compartecipanti.
La stessa meccanizzazione delle aziende ha avuto questo aperto carattere di classe. Le aziende capitalistiche sono quelle che hanno avuto modo di comprare più macchine perche hanno più capitali a disposizione e perché il governo è stato con loro più generoso fornendo aiuti per molti miliardi. Le macchine sono state introdotte allo scopo di liquidare una parte importante della mano di opera e di sottoporre ad un più intenso sfruttamento i lavoratori che rimangono occupati.
Il programma degli agrari esposto al Cepes
II Presidente della
Confagricoltura esponendo il programma degli agrari al Convegno della Cepes a
Palermo dove erano riuniti i nomi più cospicui delle forze monopolistiche, i
rappresentanti più autorevoli dei padroni del vapore, preconizzava anche per il
Mezzogiorno lo sviluppo di grandi aziende capitalistiche meccanizzate con poca
mano d'opera, con ai margini piccole aziende contadine subordinate e costituite
naturalmente attraverso le leggi per la piccola proprietà; cioè, seppellendo la riforma agraria generale e
facendo pagare prezzi strozzineschi a quei pochi contadini che potranno
acquistare la terra a prezzi assai elevati.
Gli agrari non nascondono il
loro obiettivo; essi vogliono cacciare masse ingenti di lavoratori dalle
campagne perché questa è per essi la condizione per consolidare i loro
interessi egoistici assieme a quelli delle forze monopolistiche, per
consolidare il loro potere politico e per sottrarsi alle riforme. Il Governo
attuale dimostra di essere d'accordo con questa operazione. Proprio in questi
giorni, l'on.le Vanoni llustrando il suo «piano che non è un piano» come egli
stesso ha detto «ma una linea di orientamento», faceva suo il programma della
espulsione dalle campagne di molte centinaia di migliaia di braccianti. Anche Pon.le
Vanoni attribuiva ai braccianti il torto di essere troppo numerosi e di essere
causa delle « più gravi forme del basso reddito rurale, nonché (degli) oneri
sui costi sottoforma di imponibili di mano d'opera, contributi unificati ecc».
La tesi non è molto originale.
L'attacco dei padroni non è stato sferrato non solo contro i salariati e braccianti. Analogamente a questo è avvenuto nelle città contro i lavoratori delle fabbriche, degli uffici e persino contro il personale insegnante delle nostre scuole, è stata sferrata una offensiva generale contro tutti i lavoratori della terra per sottoporli allo sfruttamento più bestiale per distruggere le loro libertà e per dominarli politicamente. Anche i mezzadri e i coltivatori diretti sono stati oggetto di questo attacco. I mezzadri hanno visto peggiorare le loro condizioni a seguito dell'aumentato sfruttamento padronale, dell'aggravamento della crisi agraria, dell'ulteriore peso della rendita e dei monopoli, dell'attacco dei padroni alle loro libertà e ai loro diritti, in particolare alla giusta causa che non è solo il fondamento della riforma contrattuale ina è anche il pilastro delle libertà contadine. Propagandando la falsa teoria della crisi agraria come fenomeno di congiuntura, le forze coalizzate dei monopoli, dei grandi agrari e del monopolio clericale hanno cercato di mascherare le grandi operazioni di rapina da esse attuate a danno dei piccoli produttori — e dei consumatori — e di mantenere i coltivatori diretti e i piccoli e medi produttori agricoli in generale sotto il loro dominio politico ed economico. Lo scopo era ed è quellodi trascinare i contadini a sostenere, in appoggio ed a vantaggio degli agrari, una piattaforma di cosidetta «difesa dei prodotti» che consiste nel rivendicare aiuti statali per mantenere alti i prezzi di certi prodotti agricoli. Lo stato ha fornito questi aiuti anche in larga misura — come per il riso, per i formaggi, per l'olio, ecc. — ma nella pratica questi aiuti si sono risolti in veri e propri guadagni supplementari dei grandi agrari e dei capitalisti che dominano gli enti economici e corporativi vecchi e nuovi.
Le soluzioni corporative rivendicate dagli agrari e favorite dallo Stato lungi dall'aiutare i piccoli e medi produttori forniscono alle forze monopolistiche gli strumenti più idonei per staccare i contadini dal mercato, per pagare i loro prodotti a prezzi vili, per spremere dalle loro fatiche ingenti ricchezze. Questa politica «di sostegno» serve a sostenere i contadini come la corda sostiene l'impiccato. La differenza dei prezzi dalla produzione al consumo testimonia appunto l'enorme massa di ricchezza che viene sottratta ai contadini e che in grande parte viene appropriata da coloro che dominano gli enti economici corporativi, dalle banche e dai monopoli.
Esistono le condizioni per andare avanti
Da questa analisi viene la conferma della necessità di lotte sempre più vaste e coordinate per il lavoro e per la terra, contro il monopolio capitalistico e contro il monopolio terriero che è' anche lotta contro le bardature corporative (Enti economici corporativi) e sul piano politico contro il monopolio clericale per imporre una svolta nella politica del nostro paese possibile solo con l'accesso dei lavoratori alla direzione della vita politica economica e sociale del paese.Su questa linea (contro i monopoli e per un mutamento nella direzione politica economica e sociale del paese) la lotta dei lavoratori della terra confluisce con quella del proletariato industriale e si colloca, sotto la guidi della classe operaia, alla testa di tutto il movimento democratico del nostro paese. Nuovi sviluppi di questa linea avremo dal Congresso della Cgil, dove confluiranno le esperienze della città e della campagna. Ma le condizioni di questi sviluppi sono già maturate dai dibattiti e dalle lotte che lo hanno preceduto nelle campagne come nelle città. Fondandosi su queste premesse il congresso Confederale darà ancora una volta un nuovo potente impulso alla lotta dei lavoratoli italiani per avanzare sul terreno del benessere e del rinnovamento profondo della società. Nelle campagne oggi, più che mai, esistono le condizioni per questa lotta in legame e sotto la direzione della classe operaia.
Luciano Romagnoli
Tratto da Rassegna Sindacale
ANNO I I - 29 FEBBRAIO 1956
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