COME E’ CAMBIATA LA SCUOLA!

 

FOTO MAESTRO DON CAMILLO CAPUTO

Chi non ricorda la sua maestra d’infanzia o di scuola primaria anzi elementare, di scuola media, la Direttrice didattica, il Preside o la Preside della sua Scuola quando la condizione di scolaro e poi studente necessariamente prevedeva un rapporto di conoscenza che mediava l’apprendimento didattico e permeava la formazione stessa? E la memoria non si ferma solo all’aspetto applicativo, allo svolgimento dei compiti, alle interrogazioni quanto al tipo di approccio stabilitosi con i compagni con la maestra o professore e al timore reverenziale verso la figura del Direttore o Preside della scuola frequentata.

Ancora ricordo, e penso anche altri, la lavagna nera con i piedi, a forma di T capovolta, nei quali spesso si inciampava. Dietro la maestra mi mandò in prima elementare per essermi distratta durante la lezione. Rimembro l’ingresso della sua collega, vicina di classe che entrava per fare due chiacchiere e che oggi sarebbe stata punita con un provvedimento disciplinare per aver lasciato senza vigilanza la sua classe. Mi chiese il perché fossi in ginocchio e perché il mio polso e parte della mia mano fosse fasciata. Timidamente le risposi, e noto adesso come anche io sia cambiata, che con il fuoco del “braciere mi sono scallata”, ossia,  traducendo in lingua italiana, “mi sono ustionata”.

Risero le maestre e la mia, intenerita dalla voce insicura e forse dalla mia condizione di cui non si considerò il disagio, mi rimandò al posto. Non giunse a scuola mia madre o mio padre a lamentarsi della punizione che oggi sarebbe stata oggetto di contestazione per l’offesa alla dignità dell’alunno,  alla fiducia in sé stesso e all’autostima.  Forse nemmeno  raccontai loro  l’accaduto ritenendo, io stessa, quella pratica di “mettere in ginocchio” i bambini necessaria ad educarli . O forse solo per paura di prendere botte. Fra l’altro a casa  sentivo spesso dire “u vingh s’ torc quann iè tienr” cioè “il tralcio della vigna si può modellare quando è giovane, tenero”. Non ci si preoccupava, all’uscita di scuola, di essere presi in giro per le punizioni poiché tutti passavano prima o poi da quelle pratiche e ciò ci faceva sentire uguali al di là dello scherno. Oggi sicuramente una derisione verrebbe etichettata facilmente come atto di “bullismo”  che è presente ma che è tutta un’altra cosa in quanto prende di mira compagni o conoscenti che si ritengono diversi e  inferiori. Ma è vero anche che i bambini di oggi sono più aperti alla comunicazione, meno inibiti e più sicuri di sé. Come è vero che molti si sentono garantiti dalle famiglie e ciò spesso li rende spavaldi e restii dalle regole di vita comunitaria e ad accettare  rimproveri e correzioni. Posseggono un linguaggio più ricco rispetto al passato grazie anche ai maggiori stimoli che ricevono nell’ambiente familiare. In molti casi entrambi i genitori lavorano e il reddito permette alle famiglie, insieme ad un livello culturale che segna distanza da quella contadina che caratterizzava un numero cospicuo di alunni di tempi più lontani, di offrire maggiori opportunità di sviluppo. Persistono casi di povertà culturale ed economica, i quali, contrariamente a ieri , sono attenzionati dalle politiche sociali con forme di sussidi gratuiti e agevolazioni che permettono la frequenza scolastica e la formazione. Un piccolo  dono alla maestra, che veramente godeva di stima presso le famiglie e nella società,   era fatto con  il cuore e portato a casa direttamente dal bambino. Si traduceva in dieci uova fresche appena arrivate dalla campagna o in un paniere di mandarini profumati o di olive nere luccicanti. Nessun regalo su collette familiari o competizioni personali. Si era più poveri e si pensava all’essenziale. La mia maestra cara, che ormai non c’è più, ci abbracciava come figli suoi e, quando ci facevano la vaccinazione, ci incoraggiava tenendoci stretti tra le sue gambe e dicendo che non era niente, solamente un graffio. Fu lei a donarmi il primo libro di racconti della mia infanzia e con esattenza il giorno della mia prima comunione. Ma le storie sugli animali e i racconti sui i briganti le ascoltavo dalla voce di mio padre, di sera, quando tornato dal lavoro, se non era molto stanco, si concedeva a noi figli in un tempo concentrato ma prezioso. I genitori non andavano al colloquio con la maestra per verificare l’andamento scolastico. Nè  si preoccupavano al tempo dell’iscrizione per scegliere la migliore. Affidavano i figli a professionisti in cui credevano anche se la conoscenza avveniva il primo giorno di scuola. Era una delega vera e propria. La composizione della classe era omogenea cioè, nel mio caso,composta quasi tutta da figli di contadini e piccoli agricoltori autonomi. I figli dei medici del tempo e degli insegnanti non si sa  perché si ritrovavano tutti insieme. Quelli sì che erano informati anche dello stato civile dei docenti o della condizione! Ricordo che si aveva soggezione nei confronti della autorevolezza del Direttore didattico che chiamerei più autorità se, entrando in classe, ci si alzava e nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, si porgeva il saluto per prima. Ma non arrivava di ritorno un cenno benevolo nè un sorriso. I bidelli non avevano un camice nè un distintivo identificativo. Li chiamavamo per nome perché erano i  nostri adulti amici della scuola, i nostri confidenti, quasi zii. Il loro nome è stampato nella memoria: Antonio Pascucci, Angelina Cazzetta, Leonardo Andriuzzi, Angelino Di Pace.      Ricordo che, quando si andava al bagno, scappavo da loro  e mi regalavano un fico seccato al sole e infornato, preso dalla tasca del vestito o un gesso che portavo a casa per segnare il gioco della settimana .  Come è cambiata la scuola negli anni, come è più libero oggi quel bambino di allora, spesso più vivace e curioso, spesso spavaldo; fortunato poiché supportato nello studio da tecnologie che rendono più motivante l’apprendimento. Come è diversa la famiglia da quei tempi passati! E’ più interessata ai problemi educativi; di stimolo alle aspirazioni più alte e per le quali sono disposti a lottare per offrire ai figli le condizioni migliori, buone compagnie e maestre più quotate. La partecipazione attiva alla scuola, sancita con i decreti delegati del 1975, a volte presa alla lettera ma poco compresa nell’essenza, rende  la famiglia coinvolta anche nella valutazione scolastica dei figli non solo, misurandola secondo un’idea tendenziosa e contestatrice non sapendo quanto danno si può provocare al rapporto docente-alunno che sulla fiducia è costruito. Qui c’è voglia e presunzione di sostituirsi alla Scuola. Tante ,pero, le famiglie che si rendono disponibili a supportarla  secondo le esigenze e rispettando le competenze. Sono quelle che hanno compreso che Scuola e famiglia non sono un binomio astratto ma un  plusvalore per il processo educativo che segue percorsi diversi ma confluenti allo stesso traguardo. E i genitori si siedono davanti al computer durante questo periodo di emergenza covid a fare “l’insegnante” se dimestichezza hanno con la tecnologia o a fare” l’alunno” se con i figli imparano le funzioni. E’ lì che il successo formativo prende “forma”. La mia Maestra non è più seduta solo  alla cattedra. Oggi è tra i banchi, con gli alunni e sente sovente la loro mano calda posarsi sulle sue spalle.  Non ha solo una cartella per fare scuola  ma usa il computer, grande mediatore didattico che raggiunge gli alunni anche a casa. Come è cambiata la mia Maestra. Lei aveva tempo per la sua famiglia e per sé nella seconda metà della giornata. Oggi no. A lei i cambiamenti succedutisi negli anni, attraverso le varie riforme, hanno mutato i tempi, le modalità e le tecniche con cui si deve interfacciare con gli alunni poiché una società in continua trasformazione lo richiede. Collegi docenti a distanza, circolari da prendere visione in abbondanza, corsi di formazione, adempienze varie, connotano un cambiamento verso un nuovo modo pedagogico di fare lezione con un carico sulle spalle fatto di tante responsabilità burocratiche con uno stato di emergenza sanitaria in atto e di convivenza almeno fino al vaccino.

E quel bambino ,per il quale tanti studi psicopedagogici hanno ricercato una giusta collocazione nella scena  del processo educativo, in quale rapporto si colloca nel sistema scolastico così configurato? Il bambino, spavaldo o timido, sicuro di sé, sempre garantito dalla famiglia o trascurato, di provenienza benestante o disagiato che sia,di sicuro sta vivendo ugualmente agli altri un momento epocale. E’ al centro di uno schermo ora da solo ora incorniciato dal gruppo classe sembra privato delle sue emozioni, delle sue potenzialità creative, della spontaneità che dovrebbe stimolare una curiosità tutta personale a sfogo delle sue inclinazioni precipue. E’  un film che si gira e che sta rispettando un copione. E della classe”fisica” si avverte la mancanza, di quell’odore di scuola sempre uguale, dell’interruzione della lezione quando  si sente bussare alla porta di classe, del suono allegro della campanella per la ricreazione, della voce familiare e affettuosa  del collaboratore. Tanto manca insieme al calore della mano dell’insegnante quando guida la fila di alunni all’ingresso e all’uscita da scuola. Questi gesti che la maestra immagina anch’essa da casa quando si appresta a sedersi per la lezione a distanza. Prova a sentire il calore della sua classe, l’aria pur viziata ma calda di respiri di fanciulli e ragazzi, chiudendo gli occhi. Si accorge che dietro è solo il calore di un fornello che cuoce il sugo per il pranzo. Quello, sì, pensa, è in presenza e in contemporaneità!

Ma il cambiamento è figlio dei tempi che passano con la loro ordinarietà e straordinarietà alle quali è necessario rispondere con la resilienza. Parola d’ordine , oggi, alla quale la Scuola , le Famiglie e le Istituzioni stanno rispondendo mettendocela tutta.


                                             di ANNA MARIA SCARNATO

 

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