Psicopandemia: la paura del Coronavirus e gli effetti psicologici su tutti noi
Tutti pensano al Coronavirus,
ma nessuno sta ancora riflettendo sui danni psicologici della Pandemia. Ecco
perché la psicologia “ai tempi del coronavirus” potrebbe assumere sfumature
interessanti. Il contagio mentale è già avvenuto, tutti lo pensiamo, lo
temiamo, combattiamo e sogniamo che tutto finisca in fretta. L’impatto di
questo evento sulla coscienza collettiva e individuale è devastante. La
“psicosi del virus” scava dentro ognuno di noi in modo diverso, ma
agisce su tutti. “La peste aveva ricoperto ogni cosa: non vi erano più destini
individuali, ma una storia collettiva, la peste, e dei sentimenti condivisi da
tutti”(Albert Camus, La peste).
Come tutti gli eventi
traumatici, significativamente stressanti che producono reazioni psicologiche e
ricordi indelebili nella memoria dell’individuo, il Coronavirus ha comportato
la diffusione di un marcato disagio psicologico condiviso, accompagnato da
diversi effetti, ma tutti connotati da una comune matrice di base: reazione di
allarme e lotta alla sopravvivenza. In ambito psicologico, il trauma è
descritto come conseguenza di un evento (o di una sequenza di eventi) con
caratteristiche tali da interrompere la continuità normalmente
avvertita da un soggetto tra esperienza passata e momento
presente. Per essere chiamato “traumatico” l’evento deve produrre
nell’individuo un’esperienza vissuta come “critica”, imprevedibile e di
complessa gestione.
Il trauma, compreso quello psicologico, (dal greco τραῦμα, – ατος ossia “rottura-ferita”) è quindi un fenomeno stressante, di gravità estrema, che soverchia per la sua veemenza, l’integrità dell’individuo, nonché la sua capacità di fronteggiamento. Possiamo, quindi, definirlo come una “frattura” che interrompe il corso naturale della nostra esistenza, sovvertendo la normale sequenza delle esperienze di vita.
Il trauma, compreso quello psicologico, (dal greco τραῦμα, – ατος ossia “rottura-ferita”) è quindi un fenomeno stressante, di gravità estrema, che soverchia per la sua veemenza, l’integrità dell’individuo, nonché la sua capacità di fronteggiamento. Possiamo, quindi, definirlo come una “frattura” che interrompe il corso naturale della nostra esistenza, sovvertendo la normale sequenza delle esperienze di vita.
Coronavirus, Bergamo:
così vengono curati i pazienti, stipati anche nei corridoi
Gli psicologi, generalmente,
distinguono i “piccoli traumi” detti “t” (traumi relazionali) dai grandi traumi
detti “T” (eventi o esperienze che colpiscono il soggetto, o una persona a lui
vicina, e che potrebbero determinarne la morte o minacciarne l’integrità
fisica). La pandemia attuale, sebbene non totalmente ascrivibile al concetto di
trauma psicologico o grande trauma, come inteso classicamente dalla
psicopatologia, sta producendo in tutti noi un’esperienza di minaccia,
che spaventa, procura disagio e irrompe nella vita di ciascuno,
compromettendone la qualità.
La popolazione mondiale sta vivendo un momento di grande allerta, di paura condivisa e di minaccia prolungata che sembra sovvertire “l’ordine naturale delle cose”, o almeno di quel tipo di ordine a cui siamo abituati.
La popolazione mondiale sta vivendo un momento di grande allerta, di paura condivisa e di minaccia prolungata che sembra sovvertire “l’ordine naturale delle cose”, o almeno di quel tipo di ordine a cui siamo abituati.
Tutto si trasforma: si
lavora da casa in modalità smart working, il contatto diventa
cyber, il Vaticano chiude le porte e persino la preghiera e le
manifestazioni d’affetto diventano virtuali. D’altra parte i medici affrontano
per tutti il rischio del contagio, diventano assoluti salvatori, e gli
infermieri quasi superstiti. Il Covid-19, dato il suo impatto, la sua
imprevedibilità e il carattere pervasivo sulla vita sociale, lavorativa e
familiare, sta dunque assumendo un carattere simil traumatico. Esso sta,
infatti, alterando i meccanismi tipici di regolazione emotiva,
creando un disequilibrio nel funzionamento degli individui che normalmente si
comportano secondo una quotidianità stabile e strutturata, e su quelli più
fragili, esasperandone la loro debolezza.
In tal senso la pandemia oltre a disorganizzare tutti noi, colpisce ancor di più le persone vulnerabili in termini psichici.
In tal senso la pandemia oltre a disorganizzare tutti noi, colpisce ancor di più le persone vulnerabili in termini psichici.
La risposta
psicologica di fronte a questa minaccia, rispetto alla propria integrità
e soprattutto rispetto alla limitazione della libertà che ne consegue, varia da
persona a persona. D’altronde tutti gli esperti concordano sul fatto che il
danno psichico del trauma dipenda non tanto dalla natura stessa dell’evento, ma
dalla reazione, dalle risorse di cui ciascuno dispone e dalla percezione
soggettiva di perdita esperita. All’allarme pandemico alcuni individui
reagiscono con rabbia e cercano di opporsi alla situazione di
costrizione; altri tollerano male la noia, la frustrazione e lo stress; i
detenuti si ribellano e vogliono scappare mentre la gente comune si ritrova
ingabbiata in una quotidianità asfittica. Alcuni di noi tendono a rifugiarsi in
una sorta di negazione e si distaccano dall’evento; altri ancora si ancorano ai
social e alle notizie che allarmano e al contempo rassicurano, in quanto
portatori di un senso di appartenenza aggregante.
Chiaramente questo fenomeno
avrà un impatto maggiore sulla popolazione clinica con difficoltà
psicologiche. Alcune forme di nevrosi potrebbero peggiorare e
la solitudine a causa della quarantena potrebbe favorire manifestazioni di
ulteriore disagio, quali angoscia, fuga dalla realtà, fenomeni di ansia,
alterazione degli stati di coscienza, convinzioni ipocondriache e timori
abbandonici. Viceversa, la percezione di una reale difficoltà potrebbe portare
non solo le persone con un disagio psichico, ma tutti, ad arginare e mettere da
parte le proprie preoccupazioni spostandosi da una prospettiva egocentrata ad
una allocentrica. Per esempio, i pazienti ossessivi potrebbero disinvestire nel
prevenire, neutralizzare e contrastare la minaccia e nel sentirsi essi stessi
responsabili di un potenziale contagio: adesso le cose non dipendono solo da
loro, e soprattutto non sono gli unici ad avere preoccupazioni di questo tipo.
Tuttavia, se da un lato,
potrebbero sentirsi meno affetti da una sintomatologia psichiatrica, poiché
tutti ora condividono la loro attenzione alla pulizia, alla moralità,
alla responsabilità e alla colpa di procurare un danno a se o agli altri,
d’altra parte, la pandemia potrebbe confermare in loro la possibilità che il
rischio della contaminazione esista, che il contagio sia dietro l’angolo, e
dunque quanto “sia giusto essere vigili e scrupolosi”. I pazienti ipocondriaci
o gli individui con tratti subclinici potrebbero avvertire maggiori
preoccupazioni, si potrebbero iper-allarmare leggendo e sentendo parlare di
nuovi contagi, iperfocalizzandosi su sensazioni o eventi che riguardano il loro
corpo. L’ipocondria sembra dilatarsi e diventare un timore collettivo e
condiviso. Gli individui inclini alla depressione potrebbero confermarsi il
loro pessimismo ed entrare in uno stato maggiore di disperazione.
Contrariamente, gli
individui con tratti paranoidi potrebbero confermarsi la loro visione
dicotomica del bene e del male e tendere verso ipotesi complottiste riguardo
l’origine del Coronavirus. Mentre gli ossessivi di personalità, quelli con
tratti di parsimonia, potrebbero essere preoccupati rispetto ai loro risparmi e
confermarsi quanto essere avari abbia dei vantaggi e non sia assurdo
preoccuparsi in vista di periodi di carestia futura. Invece i narcisisti,
plausibilmente, fantasticherebbero poteri speciali, alimentando le loro
credenze di immunità e grandiosità. In ultima analisi, i soggetti affetti da
psicosi potrebbero disorganizzarsi ulteriormente sino e rendere maggiormente
incorreggibili le loro credenze sul mondo. Eppure, in qualche modo, sembra
che tutti stiamo indossando i panni dei nevrotici; tutti siamo allarmati,
potenzialmente contaminati e contaminanti. La nevrosi sembra appartenere più o
meno a tutti, non è più confinabile ad un gruppo ristretto di persone affette
da psicopatologia. I tratti normalmente ritenuti psicopatologici diventano
condivisibili, quasi normali. L’idea di essere davvero di fronte ad un pericolo
reale altera e affievolisce il confine tra normalità e patologia.
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