Il castello di Melfi

La città di Melfi, adagiata su un colle vulcanico nella parte settentrionale del Vulture, fu la capitale dei Normanni del Sud prima che fosse scelta Palermo, e in seguito residenza frequentata spesso da Federico II che alla città associò, nel 1231, le Costituzioni redatte in collaborazione con Pier delle Vigne, il cosiddetto Liber Augustalis, il primo vero e proprio testo organico medievale di leggi scritte che disciplinavano tanto la materia civile quanto quella penale.
Amato di Montecassino la definì città “moult fort”, imprendibile baluardo per i nemici e “cité la plus superlative de toute la conté”, punto di convergenza di interessi politici, militari e strategici di enorme portata.  Ciò nonostante, si ha notizia certa dell’edificazione di una struttura fortificata attribuita ai Normanni soltanto nel XII secolo, benché l’attuale castello, nelle sue linee architettoniche, ci appaia subito come un edificio non unitario e disomogeneo. A guardarlo dal lato settentrionale, la sua massa scura costituita dalla pietra vulcanica della zona emana un forte senso di inviolabilità, come pochi altri manieri: da un lato i bastioni a picco sulla forte pendenza che corre fino al torrente Melfia, dall’altro il borgo murato, la città dove vivevano coloni, artigiani e militari al servizio dei castellani. Quasi un’immensa e possente città bastionata e turrita, frutto di secolari stratificazioni (che hanno trasformato il suo primitivo impianto normanno, a pianta rettangolare munita agli angoli di quattro torrioni quadrati, in un imponente sistema difensivo, composto da uno spalto, da un fossato su tre lati e da una cinta fortificata da dieci torri quadrangolari e poligonali), tra le quali vanno ricordati i restauri di Federico II di Svevia (che vi edificò la cosiddetta “torre dell’imperatore”), gli ampliamenti di Angioini e Aragonesi e le tante alterazioni successive.
 
Strutture di epoca normanna si riconoscono in uno dei due grossi corpi di fabbrica interni, trasformato tra XVI e XVIII secolo in palazzo baronale, dominato dall’alta torre di Marcangione. Nel castello di Melfi si svolsero quattro concili papali tra 1059 e 1101 e fu bandita la prima crociata nel 1089. Roberto il Guiscardo vi confinò la prima moglie Alberada, ripudiata per sposare Sichelgaita, sorella del principe di Salerno.
 
L’intervento federiciano sulle strutture normanne risale a prima della sesta crociata, intorno al 1221, e in ricordo dell’ampliamento e della ristrutturazione, la leggenda parla del cosiddetto “nido dell’aquila imperiale” situato sull’attuale torre occidentale. Federico utilizzò il castello anche come tesoreria regia, come deposito delle riscossioni effettuate in Basilicata, nonché come prigione, visto che il saraceno Othman di Lucera vi fu incarcerato e dovette pagare 50 once d’oro per riacquistare la libertà. Nel 1232 vi ospitò il marchese di Monferrato e sua nipote Bianca Lancia, la donna da cui ebbe il figlio Manfredi; nel 1241, vi trattenne come prigionieri di riguardo due cardinali e numerosi vescovi francesi e tedeschi che avrebbero dovuto partecipare ad un Concilio per appoggiare la decisione del Papa di deporlo; e proprio a Melfi si compì parte della storia degli eredi dell’imperatore nei pochi anni di sopravvivenza della dinastia.  
Il perimetro delle mura, scandito da poderose torri, fu costruito dagli Angioini tra il 1277 e il 1281, sotto la direzione di Riccardo da Foggia, mentre all’architetto regio Pierre d’Angicourt furono affidate le varie opere di ampliamento dell’edificio preesistente. Ed è proprio la faciesprotoangioina, insieme a quella dei primi del Cinquecento – con i relativi ambienti palaziali – a connotare il castello nella sua veste attuale.
Di proprietà del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, alcune delle sue sale ospitano oggi il Museo Nazionale del Melfese, nel quale sono esposti numerosi reperti archeologici provenienti dalle zone limitrofe. Vi è conservato, tra le altre cose, il celebre Sarcofago di Rapolla (dal nome della località dove fu rinvenuto nel 1856), una delle più importanti testimonianze di arte di scuola asiatica del II secolo d.C.: la cassa riproduce un tempietto, nelle cui nicchie ed archi sono raffigurati dèi ed eroi, sormontato dal coperchio su cui giace la figura della defunta.
La città di Melfi. Da G. B. Pacichelli, Il regno di Napoli in prospettiva (1703).
Il castello di Melfi di Stefania Mola

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