Da lucani in Svizzera ai tempi del Coronavirus


Carmen e Aldo sentono molto la mancanza del loro Paese e della famiglia. Il Covid-19 li ha bloccati e hanno dovuto rinviare il rientro
Carmen e Aldo sono due giovani lucani, vivono in Svizzera da ormai cinque anni, hanno salutato le loro famiglie e i loro amici per andare alla ricerca di un futuro solido in uno degli stati più floridi del vecchio continente. Insegnante di italiano e spagnolo lei, caposquadra in una grande ditta edile lui, vivono nel cantone San Gallo, dove sono riusciti a mettere le basi per la loro vita insieme. Oggi, però, sentono molto la mancanza del loro Paese e della famiglia che non potranno rivedere quando avevano programmato: il biglietto aereo era già stato acquistato e fremevano all’idea di rabbracciare i propri cari, un abbraccio di cui, mai come adesso, si sente l’esigenza, ma che sembra un sogno lontano.
Anche la Svizzera sta registrando un incremento dei casi positivi al Coronavirus, che al momento si attesta intorno ai dodicimila. La difficoltà in un paese come questo è dovuta ai costi elevati delle cure sanitarie, oltre che all’attuale mancanza di misure restrittive che porterebbero ad un lockdown delle attività produttive.
Ma com’è la situazione nel vostro Paese di adozione?
Carmen: «La Svizzera registra alcune settimane di “ritardo” rispetto all’Italia, per diversi motivi. I contagi qui stanno aumentando di molto nelle ultime due settimane e, purtroppo, si sono registrati già molti decessi. La divisione in cantoni non ha aiutato nella ricerca di una soluzione unica. Ad esempio, il cantone Ticino è quello più vicino all’Italia sia geograficamente che per le misure ferree che ha adottato, suscitando molti dubbi e critiche da parte degli altri cantoni. Nel nostro, purtroppo, ancora non sono state adottate in maniera così netta. Le misure più restrittive sono legate al divieto di riunirsi per gruppi superiori a cinque persone e di cercare di mantenere le distanze di sicurezza di almeno un metro. Nel resto dei casi si “consiglia” soltanto di assumere comportamenti prudenti: non si tratta di divieti, e per questo non sono previste denunce o altro. L’altra misura più importante è stata la chiusura delle scuole che, però, è avvenuta in più fasi: le scuole primarie per prime, poi quelle dell’infanzia e solo in seguito tutte le altre. Nel mio caso, lavorando in diverse scuole private, ho saputo soltanto di volta in volta se fossero state chiuse o meno, anche a causa delle divergenze da un cantone all’altro. In alcuni casi sono state attivate delle lezioni on-line, ma in altri è più complesso. Nella vita quotidiana, invece, ho notato in alcuni supermercati la presenza di gel disinfettante all’entrata o l’uso di guanti e mascherine per i cassieri. La gente per strada, però, non sembra aver capito il pericolo e quasi nessuno indossa guanti e mascherine, soprattutto tra i giovani che tendono a sottovalutare la situazione. Molti credono che si una banale influenza e che ad essere a rischio siano soltanto le persone over sessantacinque, ai quali si consiglia di non uscire».
Aldo: «Il mio caso è diverso. I cantieri non sono stati ancora chiusi e non sappiamo se e quando accadrà. Una settimana fa, i nostri superiori ci hanno informati della situazione tramite una comunicazione ufficiale, con la quale sono state sospese le ferie, probabilmente perché potrebbero esserci utili nelle prossime settimane nel caso in cui si decida di bloccare i lavori. La seconda misura adottata riguarda il numero di persone presenti nei cantieri: è vietato lavorare in gruppi superiori a cinque e potremmo ricevere un’ispezione a sorpresa che assicuri il rispetto delle regole. Nonostante ciò, non siamo tenuti a compilare alcuna autocertificazione, come accade in Italia, e non abbiamo assistito neanche alla chiusura di negozi, locali pubblici o fabbriche».
Un modo di gestire la crisi da Covid-19 molto diversa dall’Italia, che dimostra come la vicinanza geografica non rappresenti necessariamente una uniformità nel modo di reagire ad una pandemia globale.di Sara D'Agrosa


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